sabato 12 marzo 2016

Alastair Crooke - Siria: i cambiamenti sul campo e le loro conseguenze politiche. La realtà e il prezzo dei pregiudizi.



Traduzione da Valdaiclub.com.

Il presidente Obama è ormai all'angolo: deve prendere una decisione che, qualsiasi alternativa venga scelta, metterà senz'altro di malumore qualcuno o magari tutti. Sicuramente non può limitarsi ad accusare la Russia o il presidente Putin.
Il presidente e i suoi consiglieri hanno sbagliato nel sottovalutare l'avversario. All'inizio di ottobre 2015 il presidente in persona ha dichiarato: "tentare di sostenere Assad e cercare di pacificare la popolazione non farà altro che condurre i russi in un pantano e non porterà nulla". Intanto il Pentagono statuiva che la strategia russa basata su attacchi aerei in sostegno ad una coalizione di forze di terra era "destinata a fallire".
Obama si è messo all'angolo da solo. Al momento in cui iniziava la campagna aerea russa il limite invalicabile per Washington era costituito dal fatto che gli Stati Uniti non avrebbero accettato di collaborare con la Russia; gli Usa avrebbero lasciato campo libero, tenute pronte le armi, e si sarebbero limitati ad attendere il plateale fallimento russo. Secondo funzionari USA non ci sarebbe voluto molto perché i russi desistessero ed invocassero l'aiuto statunitense. Più tardi la narrativa è diventata che l'esercito siriano, nonostante l'appoggio aereo russo, non riusciva progredire sul terreno; negli ultimi tempi invece si sono cominciate a far proprie le voci prive di riscontro secondo cui la Russia stava bombardando scuole e ospedali e popolazione civile, al pari dei cosiddetti "moderati" sostenuti dall'Occidente e la cosa cominciato a sapere di giustificativo per una futura intromissione di forza. Abbiamo motivo di credere che l'aver virato verso toni propagandistici sia dovuta essenzialmente alla scelta di esercitare pressione sulla Russia perché si arrivi ad un cessate il fuoco, vale a dire ad una sosta che limiti l'impatto dei progressi che i "quattro più uno" stanno conseguendo sul terreno.
A metà febbraio alla fine i leader occidentali hanno capito che Damasco i suoi alleati si trovavano tutt'altro che in un pantano; anzi, erano vicini ad una vittoria strategica e di qui i tentativi affannosi dell'amministrazione statunitense di arrivare ad un cessate il fuoco che rappresentasse una pausa. Interiorizzare la realtà è stato scioccante. Le valutazioni dei servizi di informazione statunitensi e anche di alcuni servizi dei paesi europei erano sbagliate fin dalla loro formulazione; l'aver sottovalutato le potenzialità dei "quattro più uno" di arrivare ad un risultato militare rappresenta senza dubbio un fallimento cognitivo di grosse proporzioni.
Come mai le cose sono andate così male? Michael Kofman pensa che "dal momento che Washington ha valutato che da parte sua non conveniva usare la forza per arrivare ad obiettivi politici in Siria, [i suoi esperti] hanno pensato che lo stesso valesse anche per la Russia. Per quale motivo i russi avrebbero dovuto avere successo laddove una superpotenza aveva deciso di non intervenire, dopo un'attenta analisi della situazione"? Senz'altro le cose possono essere andate così; solo che gli Stati Uniti sono arrivati a simili conclusioni sull'utilizzo della forza da parte dell'AmeriKKKa partendo dal punto di vista di chi considera l'utilizzo della forza per rovesciare uno stato sovrano. Un settore in cui, questo va detto, gli Stati Uniti non hanno mietuto chissà quali successi. La Russia invece aveva l'obiettivo di sostenere tramite la forza militare un apparato statale esistente e le sue consistenti ed intatte forze armate.
Certe errate conclusioni forse sono qualcosa di più della mera proiezione dell'esperienza statunitense come pensa Kofman. Esse devono molto a costrutti cognitivi più profondi, che stanno dietro al fatto di aver bollato come "predestinata al fallimento" l'iniziativa russa prima e ancora essa cominciasse. Uno dei pregiudizi più persistenti nelle conventicole occidentali è l'assunto che la tecnologia militare russa sia "vecchia" e che le forze armate russe siano in qualche modo incapaci di agire in maniera integrata. La Siria ha dimostrato che su questo punto la NATO ha commesso un grave errore: i funzionari della NATO sono rimasti di sasso, e il Pentagono si sta adesso affannando con l'aiuto della Silicon Valley ad aggiornare le proprie competenze tecnologiche temendo che la Russia abbia sopravanzato la NATO di diverse lunghezze. In ogni circostanza, i russi in Siria hanno mostrato una considerevole efficacia sul piano militare, facendo ricorso a risorse relativamente limitate.
Un altro limite concettuale è rappresentato dalla concezione binaria dell'Islam che statunitensi ed europei hanno interiorizzato, per lo più basandosi sugli Stati del Golfo loro alleati e sulla loro agenda anti iraniana. In quest'ottica, ogni volta che gli sciiti sono coinvolti in fatti d'arme in Medio Oriente i loro alleati militari (la Russia, in questo caso) vengono immediatamente trattati da appestati e da nemici da tutti i sunniti in tutto il mondo. Questa visione in bianco e nero ignora il fatto che lo wahabismo è un qualcosa che ha fatto irruzione sulla scena del Mediterraneo orientale in tempi molto recenti, attorno al 1947. Essere sunniti di per sé non significa e non ha mai significato simpatizzare per i vari orientamenti dello wahabismo. Al contrario, i sunniti della regione sono molto lontani da quest'orientamento intollerante e ristretto, importato dal Golfo. Ecco perché gli abitanti dei paesi del nord della Siria, e con loro i cristiani, i drusi, i curdi e così via, all'occasione liberati dalla presenza di An Nusra e dello Stato Islamico da corpi armati guidati dagli iraniani o da Hezbollah hanno accolto in modo tanto entusiasta i loro liberatori sciiti, proprio come avrebbero fatto se a cacciare gli jihadisti fosse stato l'Esercito Arabo Siriano che è a maggioranza sunnita. Gli USA ed alcuni dei loro alleati non hanno mai interiorizzato questo concetto; la Russia, col suo retroterra ortodosso che è sempre stato più vicino all'Islam tradizionale di quanto lo sia stata la cristianità latina, invece ci è riuscita.
A rendere ciechi gli ameriKKKani su qualsiasi possiblità che Russia e Iran potessero conseguire un qualsiasi successo militare in Siria è stata senz'altro anche la lobby di quanti cercano una giustificazione umanitaria per un intervento militare, guidata da Susan Rice e da Samantha Powers. Queste signore sono tutte e due vicine al Presidente Obama e sono delle smaccate ideologhe dell'intervento liberista: ai loro occhi solo l'Occidente ha l'autorità morale necessaria ad intromettersi con le armi. Nella loro visione da "fine della storia" in cui tutto il mondo tende a diventare una comunità liberista globale qualsiasi altro esito rappresenta un puro e semplice passo indietro, una chiave inglese negli ingranaggi della storia. La sfera liberista guidata dagli Stati Uniti a livello mondiale viene considerata in qualche modo democratica e pacifica nella sua essenza, e quanti insistono per rimanerne fuori vengono considerati invece una minaccia per la pace. Da questo punto di vista l'intervento russo in Siria va semplicemente contro questo "ordine mondiale naturale" ed è ipso facto "destinato al fallimento". Ad una riunione dell'ASEAN Obama ha tenuto un discorso intriso di concetti del genere. C'è l'insistente convinzione che le forze che tendono ad una convergenza globale siano talmente potenti da essere per forza destinate a trionfare. I "negoziati" tra palestinesi e stato sionista sono stati anch'essi impostati con un'ottica di fondo in un certo senso paragonabile, ovvero il fatto che lo stato sionista avrebbe finito con l'ammettere che la demografia deve avere la meglio. Il problema è che il refrain sulla "fine della storia" viene respinto dalla quasi totalità del mondo "non occidentale", che preferirebbe vivere secondo i propri valori culturali e riappropriarsi della propria sovranità. Se lasciamo perdere l'utopia dell'interventismo su pretesto umanitario e ci rifacciamo alla lotta geopolitica che si insegna alla scuola del realismo, allora diventa ovvio che le prove di forza militari siano quelle che determinano i risultati sul piano politico.
In ogni caso, l'AmeriKKKa ed anche il Regno Unito hanno sbagliato. Adesso Obama deve decidere se lasciare che la guerra in Siria arrivi ad uno sbocco politico grazie all'uso delle armi o se lasciare che si proceda con un'escalation a guida turca o turco-saudita. Da tenere presente è che l'Arabia Saudita sul piano militare non può che fare da comprimario ad un'operazione turca. Lasciare che la guerra finisca lasciando in sella il governo di Damasco sarà un boccone amaro per Washington; il Presidente troverà duro buttarlo giù. Ma lasciare che l'esercito turco abbia campo libero in Siria sarebbe qualcosa di peggio. Sarebbe una catastrofe.
In un certo senso, ed entro certi limiti, una qualche escalation è già in corso: l'artiglieria turca sta colpendo i curdi in Siria ed in Iraq e la Turchia ha aperto agli insorti le porte dei propri magazzini di armi. Senza giri di parole si può dire che per la Turchia è giunta l'ora della verità. Se Aleppo verrà liberata, cosa che è quasi sicura, sarà la fine anche per i giochetti turchi per sovvertire lo stato siriano, e sarà la fine anche per l'ambizione neoottomana di Erdogan di arrivare infine ad annettere parti delle province di Idlib e di Aleppo. Un importante editorialista turco, Semih Idiz, ha scritto che un'invasione militare turca vera e propria non è probabile; in realtà non è mai stata una prospettiva praticabile, dal momento che lo spazio aereo siriano è sotto controllo russo e che l'AmeriKKKa è riluttante a rischiare un'escalation con la Russia.
Difficilmente il continuo cannoneggiare il territorio dello YPG cambierà la situazione sul campo. Piuttosto, i curdi siriano dello YPG stanno compiendo in continuazione rapidi progressi militari, bombardamenti turchi nonostante. Probabile che esistano dei limiti alla libertà d'azione che Washington ha deciso di accordare alla Turchia, anche in questo particolare campo; lo YPG è il principale alleato degli USA nella guerra contro lo Stato Islamico in Siria. Per adesso gli USA continuano a sostenere lo YPG impegnato nella chiusura del corridoio di Azaz -la linea di rifornimento degli insorti per le forze assediate ad Aleppo est- anche se, paradossalmente, oggi come oggi lo YPG sta attaccando forze che comprendono anche formazioni sostenute dalla CIA. Sono le contraddizioni della guerra: combattenti sostenuti dagli USA contro altri combattenti riforniti dagli USA.
Per come stanno le cose, Erdogan è politicamente messo molto male ma non è detto che debba per forza perdere tutto, almeno non ancora. Entro certi limiti l'infervorata retorica turca di questi giorni e il continuo tintinnare di sciabole potrebbe riguardare più che altro le manovre turche e saudite per conservare insieme a Washington la presa propria e dei propri protetti in Siria orientale e nell'Iraq del nord: questo significa che la loro attenzione adesso si concentra sul tentativo di innestare una specie di staterello sunnita lungo la vallata dell'Eufrate che, con Mossul come capitale, potrebbe consentire ad Erdogan di ridurre la propria dipendenza dalle forniture energetiche russe che sarebbero sostituite dai campi petroliferi dell'Iraq nordorientale e impedirebbe all'Iran di raggiungere il Mediterraneo sia politicamente sia come potenziale fornitore di gas all'Europa, oltre a imbrigliarlo almeno in parte: un'idea questa che Erdogan può anche credere di riuscire a smerciare a Washington.
La corsa dei "quattro più uno" dunque non ha solo Raqqa per traguardo, per quanto importante esso sia, ma sia Raqqa che Mossul. I leader delle Forze Popolari di Mobilitazione irachene, cui è stato impedito di prendere parti alle operazioni contro lo Stato Islamico nella provincia di Anbar, sono stati recentemente in visita a Damasco e sono ansiosi di prendere parte alla liberazione di Mossul, magari ad opera di forze vicine ai "quattro più uno" che non dei turchi o degli ameriKKKani. In Iraq sta anche crescendo il sostegno per l'adozione di politiche che escludano la Turchia e gli Stati Uniti da qualsiasi ruolo nella futura presa della città.
Dunque, in quali termini si può parlare di vittoria o di sconfitta per quanto riguarda la guerra in Siria? Sembra che la prima mano, rappresentata dalla presa di Aleppo e dallo sbarrare il passo ad un'invasione turca in piena regola, l'abbiano vinta i "quattro più uno": una sconfitta grave per la Turchia e l'Arabia Saudita. Ma quale sarà il risultato finale? C'è da attendersi un attacco doppio verso Raqqa e Mossul; chi riuscirà a prendere entrambe potrà decimare lo Stato Islamico con un attacco contemporaneo da nord e da sud e in questo caso vincerebbro i "quattro più uno", e Siria ed Iraq finirebbero col formare una sorta di confederazione. In alternativa è Erdogan che vince, prendendo Mossul e Raqqa e lasciando la Siria nelle stesse condizioni della Germania dopo la seconda guerra mondiale, vale a dire divisa per i decenni a venire e con un "Sunnistan" ad est controllato di fatto dalla Turchia e dall'Arabia Saudita. A margine, occorre far presente a quanti vedono con favore un equilibrio dei poteri in Medio Oriente e che potrebbero pensare che l'affermazione dei "quattro più uno" in Siria andrebbe controbilanciata lasciando che la Turchia arrivi a controllare effettivamente il nord est iracheno, che una simile prospettiva finirà con una guerra a tutto campo tra sunniti e sciiti; non una guerra di religione o una guerra per interposti contendenti, ma un conflitto geostrategico importante.
Lo scorso fine settimana è entrato in vigore un cessate il fuoco. Solo che con le forze sul terreno -che sono la coalizione dei "quattro più uno" guidata da Russia, Siria ed Iran- che stanno avendo la meglio e che sentono a portata di mano la liberazione di Aleppo dalle forze degli insorti che la circondano in parte non è certo facile chiedere di fermarsi, rischiando di perdere un momento favorevole ottenuto a caro prezzo e di permettere agli jihadisti di serrare i ranghi e di tornare ad armarsi. Eppure, la leadership russa proprio questo ha fatto: ha imposto una pausa all'affondo. Il fatto che abbia acconsentito a tanto rivela la complessità del calcolo strategico. E' in corso una partita a scacchi su piani diversi. Ad un primo livello il Presidente Putin ha bisogno di far sfogare il veleno che in USA e in alcuni paesi europei come il Regno Unito viene sparso da quanti vorrebbero usare il conflitto siriano per resuscitare la guerra fredda e come mezzo per "dare una lezione alla Russia". Su un livello successivo, la leadership russa ha bisogno di giocare anche la carta dell'Europa, e di venire incontro a quei paesi europei che si oppongono con decisione a qualsiasi inasprirsi a guida statunitense delle tensioni con la Russia e che stanno aspettando gesti concreti che vadano a rafforzare la loro presa. Infine,la Russia non può ignorare i fatti concreti della guerra: non si può lasciare troppo a lungo un esercito a temporeggiare in mezzo ad un conflitto, sia che si arrivi a concessioni da parte dell'opposizione e si torni alla politica, sia che gli scontri riprendano.
In concreto non esistono azioni esplicite, tranne il rinunciare a tutti i vantaggi derivati dal ricorso all'azione militare, che possano mettere buoni sia i neoconservatori occidentali sia gli interventisti "umanitari". Questo è tanto più vero dal momento che Washington e certi paesi europei si vedono come i protettori degli interessi sunniti. In pratica, qualsiasi cosa facciano i russi, le loro azioni dovrebbero essere reputate soddisfacenti anche da quegli alleati degli USA che sono la Turchia e l'Arabia Saudita: e le loro pretese potrebbero benissimo presentarsi sottoforma di richiesta chye la situazione attorno ad Aleppo rimanga così com'è, di fatto lasciando la città a far parte della sfera di interesse della Turchia. Presentato in questo modo, il concetto potrebbe anche accattivarsi il sostegno europeo e diventare una ragione per spingere gli europei a considerare il conflitto congelato a questo punto: sarebbe una soluzione al problema dei profughi in Europa, la Turchia che si prende Aleppo e in cambio accetta di fermare il flusso dei profughi alla volta dell'Unione Europea.
Russia ed Iran non accetteranno nulla di tutto questo. Non esistono "azioni" esplicite, in breve, che possano essere accettabili per entrambe le parti e che possano avere effetti sui calcoli di tutti coloro che sono coinvolti nel conflitto. Inoltre, la "cessazione delle ostilità" implica una quantità di mine potenziali quante ne bastano per far sì che l'accordo possa saltare in ogni momento. Il risultato probabile è quello di una tregua di breve durata, passata la quale i "quattro più uno" continueranno a guadagnare terreno e di conseguenza le tensioni tra Russia e USA a salire.

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