giovedì 31 dicembre 2015

Alastair Crooke - Mettere all'angolo i russi significa rischiare la terza guerra mondiale


A Washington la politica ufficiale gronda di discussioni sulla Russia e sul bisogno di punire il presidente Putin per il ruolo che ha in Ucraina e in Siria. Queste fanfaronate ignorano gli autentici interessi nazionali della Russia, i limiti invalicabili che essa ha posto e il rischio che questa intransigenza da gradassi possa finire per portare ad una guerra nucleare, come spiega Alastair Crooke.

Alastair Crooke, Consortium News, 11 dicembre 2015


Tutti conosciamo la narrativa in cui noi occidentali siamo intrappolati. È la narrativa della guerra fredda: l'AmeriKKKa contro l'Impero del Male. Come ha scritto il professor Ira Chernus, dal momento che gli esseri umani siamo noi è chiaro che in qualche modo loro (l'Unione Sovietica, oppure lo Stato Islamico di oggi) non lo sono. Dunque dobbiamo in tutti i casi collocarci su posizioni opposte.
"Se loro sono il male assoluto noi dobbiamo essere il loro assoluto opposto. Il vecchio racconto dell'apocalisse: le genti di Dio contro le genti di Satana. Così siamo sicuri che non dovremo mai ammettere di aver mai avuto rapporti di qualche importanza con il nemico". La pretesa supremazia ed il preteso eccezionalismo dell'AmeriKKKa e dell'Europa poggia su queste basi.
Una volta "statuito il concetto che il nemico in nessun modo è un essere umano come noi, siamo automaticamente assolti per qualunque cosa possiamo aver mai fatto per innescare o per contribuire alla nascita e alla diffusione del male. Come possiamo aver mai preso fertile il terreno per il male assoluto, o avere una qualche responsabilità per i suoi successi? Questo è un postulato elementare delle guerre contro il male: le genti di Dio devono essere innocenti". E con il male non si scende a patti: è mai possibile scendere a patti col male?
Gli occidentali in generale possono pensare a se stessi come ad esseri razionali e in massima parte laicizzati, eppure la politica estera contemporanea è ancora caratterizzata da concezioni del mondo di derivazione cristiana.
In particolare, la narrativa da guerra fredda dei tempi di Reagan postula che l'AmeriKKKa ha semplicemente fatto fronte all'impero sovietico con mezzi militari e con altrettanto importanti pressioni finanziarie senza mai fare alcuna concessione al nemico.
Ci si dimentica a volte di come i neoconservatori di Bush hanno conferito la loro impronta alla versione mediorientale di questa narrativa marchiando i nazionalisti arabi laici e i baathisti come progenie sataniche: nel 1996 David Wurmser auspicava che "si facilitasse il collasso caotico" dei nazionalismi laici arabi in generale e del baathismo in particolare. Era d'accordo con re Hussein di Giordania sul fatto che il fenomeno del baathismo fosse fin dalle sue origini "un agente straniero, in particolare un agente della politica sovietica".
Oltre a comportarsi come agenti socialisti i paesi di quell'orientamento si opponevano allo stato sionista. Sulla base del principio che considerava loro il nemico, i nemici dei baathisti e dei nazionalisti laici -i re, gli emiri, le monarchie mediorientali- diventarono gli amici dei neoconservatori di Bush. E sono rimasti amci ancora oggi, nonostante i loro interessi siano ora largamente divergenti da quelli degli Stati Uniti.
Il problema, come lamenta il professor Steve Cohen, il più eminente studioso di questioni russe negli Stati Uniti, è che è stata proprio questa narrativa ad aver impedito all'AmeriKKKa di acquisire una volta per tutte le competenze necessarie a trovare un modus vivendi con la Russia; una cosa di cui c'è molto bisogno anche soltanto per affrontare con serietà il fenomeno dello jihadismo wahabita o per risolvere il conflitto siriano.
La cosiddetta narrativa da guerra fredda inoltre non riflette gli eventi storici, ma li deforma: ci preclude le competenze necessarie ad una vera comprensione del "freddo tiranno" demonizzato, che sia il presidente Vladimir Putin -il russo- o il presidente Bashar al Assad -il baathista- perché ci porta ad ignorare bellamente il vero percorso storico che questo o quel paese hanno compiuto per diventare ciò che sono e la parte che abbiamo avuto noi in tutto questo.
Inoltre uno Stato sovrano e i suoi vertici politici il più delle volte non sono come noi pensiamo che siano: tutt'altro. Cohen spiega: "La possibilità di instaurare una durevole relazione strategica tra Washington e Mosca è stata persa negli anni 90 dopo la fine dell'unione sovietica. In realtà si è cominciato a perderla prima, perché sono stati [il presidente Ronald] Reagan e [il leader sovietico Michail] Gorbaciov a costruire la possibilità di una relazione strategica negli anni compresi tra il 1985 ed il 1989.
Di sicuro questa possibilità è svanita ai tempi dell'amministrazione Clinton, e non certo per colpa di Mosca. Essa è finita a Washington, dove è svanita e si è persa nel nulla. La possibilità di una relazione strategica con Mosca è venuta meno in modo così brusco che oggi e almeno per il corso degli ultimi anni, direi fin dai tempi della guerra in Georgia nel 2008, ci siamo trovati letteralmente in una nuova guerra fredda contro la Russia.
Molti politici e molti nei mass media non vogliono utilizzare questa espressione, perché se ammettono che sì, ci troviamo in una guerra fredda, si troverebbero in condizione di dover spiegare che cosa hanno fatto nel corso degli ultimi 20 anni. Così preferiscono dire che non si tratta di guerra fredda.
E qui viene la mia ulteriore considerazione. Questa nuova guerra fredda è potenzialmente anche più pericolosa del suo quarantennale precedente, per varie ragioni. Innanzitutto si pensi al fatto che l'epicentro della precedente guerra fredda era a Berlino, non vicino alla Russia. Esisteva un'ampia zona cuscinetto tra la Russia e l'Occidente, in Europa orientale.
Oggi l'epicentro è in Ucraina, letteralmente a ridosso della frontiera russa. La nuova guerra fredda è stata innescata dal conflitto ucraino e dal punto di vista politico l'Ucraina resta una bomba a tempo ancora attiva. Il confronto di oggi non è soltanto alle frontiere della Russia ma nel cuore stesso della civiltà slava russo-ucraina. È in atto una guerra civile che per certi versi è profonda come lo è stata la guerra civile ameriKKKana".
Cohen ha continuato: "Andiamo ancora avanti perché c'è anche di peggio. Si ricorderà che dopo la crisi dei missili a Cuba Washington e Mosca svilupparono determinate regole per i comportamenti reciproci. Si erano accorte di quanto pericolosamente vicine fossero arrivate ad una guerra nucleare e così adottarono una soglia precisa di quello che era ammissibile e di quello che non lo era, che fosse codificata nei trattati o nella reciproca comprensione a livello non ufficiale. Ciascuna delle due parti sapeva dove poteva spingersi nei confronti dell'altra. Ciascuna delle parti ha superato occasionalmente i limiti, ma ha fatto immediatamente marcia indietro perché c'era la reciproca comprensione del fatto che essi limiti esistevano.
Oggi limiti del genere non esistono. Una delle cose che Putin e il suo predecessore Medvedev hanno continuato a dire a Washington è: state superando i nostri limiti! Washington rispondeva, e ha continuato a rispondere: "nei vostri confronti non ci sono limiti. Noi abbiamo i nostri, e noi possiamo anche avere tutte le basi che vogliamo attorno alle vostre frontiere, ma voi non potete avere basi in Canada o in Messico. Non ci sono vostri limiti che noi dobbiamo rispettare". Tutto questo indica con chiarezza che oggi non esistono regole comportamentali reciprocamente condivise.
Un'altra considerazione importante: oggi come oggi negli Stati Uniti non esistono alcuna forza politica o alcun movimento organizzato contro la guerra fredda o a favore della distensione. Non si trova nulla di simile nei nostri partiti politici, non si trova nulla di simile alla Casa Bianca, nulla al Dipartimento di Stato nulla nei mass media del mainstream, nulla nelle università o nei think tank. Non esiste nulla del genere oggi.
Andando ancora avanti, ho una domanda: chi è il responsabile di questa nuova guerra fredda? Non lo chiedo perché voglio puntare il dito contro qualcuno. Secondo i mass media ameriKKKani nella loro interezza questa nuova guerra fredda è tutta colpa di Putin: tutto, ogni cosa. Noi in AmeriKKKa non abbiamo fatto niente di sbagliato. Ad ogni mossa ci siamo comportati in modo virtuoso ed accorto, mentre Putin si è comportato in modo aggressivo inaffidabile. E allora, cosa dobbiamo rimettere in discussione? E' Putin che deve rimettersi in discussione, non noi".
Queste due narrative, la narrativa della guerra fredda e il successivo adattamento che ne hanno fatto i neoconservatori, vale a dire la formulazione che Bill Kristol ne ha prodotto nel 2002 secondo la quale proprio in virtù della sua vittoria nella guerra fredda l'AmeriKKKa può e deve diventare una "benevola potenza egemone" che garantisce e sostiene il nuovo ordine mondiale di cui essa stessa autrice ("una frittata che non si può fare senza rompere qualche uovo") convergono e si compenetrano in Siria, nelle persone del presidente Assad e del presidente Putin.
Il presidente Obama non è un neoconservatore, ma paga dazio alla posizione di egemonia mondiale che ha ereditato e che deve in qualche modo sostenere, pena l'essere bollato come colui che più di ogni altro ha facilitato il declino dell'America. Il presidente si trova anche circondato da fautori della dottrina politica basata sul concetto di "responsabilità per la protezione" come Samantha Power, che sembra siano riusciti a convincere il presidente che la cacciata del "tiranno" Assad farebbe sgonfiare e collassare il pallone dello jihadismo wahabita consentendo agli jihadisti "moderati" come Ahrar al Sham di distruggere i rimasugli dello Stato Islamico, il palloncino esploso.
Nella pratica imporre la cacciata del presidente Assad non farebbe che rafforzare lo Stato islamico anziché farlo implodere: le conseguenze si ripercuoterebbero in tutto il Medioriente e anche oltre. A livello privato il presidente Obama può anche aver compreso la natura ed i pericoli della rivoluzione culturale wahabita, ma sembra attenersi alla convinzione che basterà che Assad lasci perché tutto cambi. I paesi del Golfo avevano detto la stessa cosa riguardo al primo ministro iracheno Nouri al Maliki. Al Maliki ha lasciato il potere, almeno per il momento, e che cosa è successo? Lo Stato Islamico si è rafforzato.
Certamente se pensiamo che lo Stato islamico sia il male, che esista per fin di male e che sia fondato su massacri scriteriati e orrendi, "[sarebbe] un'iniziativa folle pensare alle autentiche motivazioni del nemico. Comportarsi in questo modo infatti significherebbe trattarli come esseri umani mossi da intenzioni umane che nascono dalla storia. Certo, questo sembrerebbe un parteggiare per il diavolo. Di sicuro" continua il professor Chernus "questo significa che qualunque cosa si possa pensare di quello che fanno, tendiamo generalmente a sorvolare sul fatto evidente che i combattenti dello Stato islamico non potrebbero comportarsi in modo più umano di così o muoversi in base a motivazioni più comprensibili".
Lo Stato Islamico e le altre forze favorevoli al califfato infatti sono mossi da motivazioni umane molto chiare e da obiettivi politici formulati con chiarezza, nessuno dei quali risponde in alcun modo al tipo di assetto statale che gli ameriKKKani dicono di volere per la Siria. Tutto questo rispecchia alla perfezione il pericolo intrinseco nel diventare ostaggi di una determinata narativa al posto di esercitare la volontà di esaminare le strutture concettuali prevalenti in maniera più critica.
L'AmeriKKKa è molto lontana dalla Siria e dal Medio Oriente; come afferma il professor Stephen Cohen, "purtroppo le relazioni a nostra disposizione oggi sembrano indicare che la Casa Bianca e Dipartimento di Stato si preoccupano innanzitutto di come contrastare le iniziative russe in Siria. Si legge che sarebbero preoccupati dal fatto che la Russia starebbe intaccando la leadership ameriKKKana nel mondo".
Secondo il professor Chernus è il solito ritornello di perpetua insicurezza nazionale, di perpetua paura sulla posizione dell'America e sulle sfide ad essa.
L'Europa, al contrario, non è affatto lontana. La Siria è letteralmente alle sue porte. E l'Europa è anche vicina alla Russia. In queste condizioni è bene riflettere sull'ultima affermazione del professor Cohen: il fatto che Washington non sia affatto disposta a consentire alcun ampliamento delle posizioni russe in Europa ed anche al di fuori di essa per mezzo di iniziative rivolte a conseguire la sconfitta strategica dello jihadismo wahabita in Siria non si traduce soltanto in un giocare con il fuoco in Medio Oriente. Significa prendersi gioco di un pericolo anche più grande, e fare entrambe le cose allo stesso tempo sembra un atto straordinariamente scriteriato.
Cohen continua: "[Ha messo radici] la mal fondata idea che con la fine dell'Unione Sovietica abbia avuto termine anche la minaccia nucleare: in realtà questa minaccia si è diversificata e complicata. La politica di alto livello se n'è dimenticata completamente. Anche questo è uno dei pessimi servizi lasciati dall'amministrazione Clinton ed entro certi limiti anche dal primo presidente Bush nella campagna elettorale per la sua rielezione, perché entrambi asserivano che il pericolo nucleare della ormai conclusa guerra fredda dopo il 1991 era venuto meno. In realtà la minaccia è cresciuta, ha preso la forma di incidente o di mancanza di attenzione e adesso è più pericolosa che mai".
L'Europa si sta prestando all'inasprimento delle pressioni in atto contro una Russia impegnata in Siria, in Ucraina ed in Crimea, nel pencolante Montenegro, in Georgia e nel Baltico dove deve affrontare la Nato: dal punto di vista economico con le sanzioni, da punto di vista finanziario con mosse di altro tipo. Forse ci troveremo davanti al paradosso rappresentato dal fatto che la determinazione con cui i russi stanno cercando di evitare la guerra sta portando proprio verso una guerra.
La Russia ha invitato i paesi occidentali a cooperare contro la minaccia dello Stato islamico; è rimasta sotto traccia e si è comportata cautamente davanti a provocazioni come l'imboscata al bombardiere Sukhoi 24 abbattuto in Siria; il presidente Putin fa uso di una retorica tranquilla. Tutte cose che a Washington e a Londra vengono utilizzate per ritrarre la Russia come se fosse una tigre di carta che nessuno ha motivo di temere.
In breve, alla Russia vengono offerte solo due possibilità: mostrare condiscendenza verso chi esercita una benevola egemonia, o prepararsi per la guerra.

1 commento:

  1. Mah secondo me il vero problema, il nodo cruciale, non sta tanto nell'idea che l'Occidente ha di sé (e dei suoi veri o presunti nemici), ma in queste dieci parole: "Quand'è che i musulmani smetteranno di litigare fra loro?"

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