lunedì 20 luglio 2015

Alastair Crooke - La situazione in Siria nel giugno 2015


Traduzione da Conflicts Forum.

"Quello che sta succedendo qui non ha nulla a che vedere con la costruzione di un oleodotto. Qui si lotta per costruire una vita libera e democratica"
Fehim Isik, giornalista e scrittore turco di primo piano, riguardo al corridoio controllato dai curdi con il sostegno statunitense nel nord della Siria (cfr. qui).

Il Segretario alla Difesa statunitense Ashton Carter, durante una riunione della Commissione Difesa della Camera dei Rappresentanti dello scorso diciassette giugno ha rivolto ai presenti una domanda: "Cosa succede se alla fine l'esistenza di un Iraq multiconfessionale non risulta possibile?". Rispondendo a se stesso, Carter ha poi detto: "La questione è parte non secondaria della strategia che stiamo adottando sul terreno: se quel governo [Baghdad, N.d.A.] non fa quello che si ritiene faccia, dobbiamo cercare un'altra volta di mettere le forze di terra locali -sempre che vogliano ancora stare a nostro fianco- in condizioni di mantenere stabile il paese. Solo che non ci sarà un solo stato, in Iraq". Nella stessa occasione il generale Dempsey, presidente dello Stato Maggiore Congiunto, ha confermato quando riferito da Carter precisando che esistono dei limiti a quello che l'AmeriKKKa può fare per rendere stabile un paese piagato dagli attriti settari e dall'avanzata dello Stato Islamico.
La discussione in genere era centrata sull'Iraq, ma c'è da star sicuri che i due avrebbero detto lo stesso della Siria. Quello che hanno detto, in sostanza, è che una politica da seguire non ce l'hanno. Nessuno dei due ha presentato la spartizione dell'Iraq di per sé come una politica, ma di fatto entrambi la stanno assecondando.
Per la Siria invece parlano i grafici: i dati del Comando Supremo statunitense riferiti agli ultimi dieci mesi mostrano che su un totale di 1774 attacchi aerei condotti dalla coalizione in Siria non meno di 1187, pari al 67% del totale sono avvenuti in zone in cui ha combattuto lo YPG curdo, l'equivalente siriano del PKK. Soltanto l'11% degli attacchi aerei, pari ad un totale di 191, ha colpito le roccaforti dello Stato Islamico a Raqqa e a Deir ez Zor.
Ecco una mappa dei tre "cantoni" curdi siriani: a sinistra Afrin, Kobane al centro e Jazira, "l'isola", a destra.
Con l'aiuto di intensi bombardmenti ameriKKKani lo YPG a potuto prendere Tell Abyad. Le forze curde, spalleggiate da alcuni elementi non curdi, sono arrivate a cinquantasei chilometri da Raqqa, la capitale del califfato. A quanto pare sono riuscite anche a prendere il controlo di Ain Issa, un incrocio strategico sulla direttrice nord-sud che da Tell Abyad porta a Raqqa e sulla famigerata autostrada M4 che per lo Stato Islamico costituisce un'importante arteria per il traffico diretto da est ad ovest, da Mosul ad Aleppo. Sulla mappa Ain Issa non figura come tale, ma è rappresentato dall'area rosa divisa dalle due strade in direzione nord-sud ed est-ovest, a metà percorso tra Tell Abyad e Raqqa.
Dopo i recenti successi dello YPG la mappa adesso appare così; le aree controllate dai curdi sono segnate in giallo.
Ci si chiede adesso se lo YPG riuscirà a prendere Jarabulus, che è un altro punto di frontiera importante fra Turchia e Siria, conseguendo il completo controllo della frontiera meridionale turca con i centodieci chilometri che separano Jarabulus da Anfrin e dal Mediterraneo. La zona compresa tra Kobane e Anfrin non è a dominanza curda, sicché lo YPG può ambire ad unificare i territori della fascia curda solo se collabora con altri gruppi etnici, che è poi quello che ha fatto fino ad oggi.
Tutto questo si accorda bene col discorso che Ashton Carter ha fatto al Congresso, parlando di "mettere le forze di terra locali" in grado di stabilizzare il paese. Il personale militare statunitense è rimasto molto impressionato dallo YPG -nonostante si tratti di una affiliazione del PKK- in occasione dell'assedio di Kobane: lo YPG era stato integrato nelle operazioni militari statunitensi e dirigeva direttamente gli attacchi aerei ameriKKKani sulle posizioni dello Stato Islamico. I militari statunitensi affermarono all'epoca che avrebbero continuato a mantenere contatti con lo YPG anche dopo la conclusione degli scontri a Kobane, a maggior rabbia del Presidente Erdogan.
In effetti cooptare lo YPG potrebbe rappresentare una efficace soluzione su misura al dilemma ameriKKKano sul come comportarsi con la Siria: tagliare le linee di rifornimento dello Stato Islamico grazie allo YPG per creare una zona proibita allo Stato Islamico lungo il confine turco, anche se Tell Abyad non è certo l'unico punto di ingresso in Turchia su cui lo Stato Islamico possa contare e ci sono chiare prove del fatto che la "via turca" per jihadisti viaggiatori fa ancora ottimi affari perché altri punti di passaggio sono intervenuti a colmare la perdita.
In Turchia, e non c'è da meravigliarsene, sono schiattati di rabbia. Il giornalista turco Fehim Taştekin scrive: "Quando le Formazioni per la Protezione del Popolo Curdo (YPG) hanno cacciato lo Stato Islamico da Tell Abyad il Presidente Tayyip Erdogan, altri leader del Partito della Giustizia e dello Sviluppo ed i mass media vicini al governo hanno reagito istericamente. Tra i loro forsennati scenari "Uno stato curdo in formazione nel nord della Siria con l'aiuto degli Stati Uniti", "Pulizia etnica curda a spese di arabi e turkmeni", "Apertura di un corridoio per portare al Mediterraneo il petrolio del nord dell'Iraq". Un articolo sul Partito dell'Unione Democratica è arrivato anche oltre: "Il PYD è più pericoloso [dello Stato Islamico]".
In breve, quella che dal punto di vista militare potrebbe essere una soluzione pratica per "fare qualcosa" sul piano tattico contro lo Stato Islamico rischia di trasformarsi in un incubo politico: alimentare la prospettiva di uno stato o staterello curdo che viene instaurato nel cuore del Medio Oriente darà il via a carrettate di grattacapi sul piano politico e le conseguenze andranno ben oltre la Siria settentrionale: si "risolve" una parte di un problema, ed ecco che ne salta fuori un altro. Tutto questo inoltre avrà pesanti ripercussioni sulla politica curda in Iraq.
Nella Siria meridionale sta succedendo la stessa cosa. Cooptare una formazione armata ad hoc ha creato una crisi di diverso genere, che per quanto riguarda il punto di vista ameriKKKano minaccia di peggiorare ulteriormente le cose. In questo caso dobbiamo far riferimento all'accordo tra Arabia Saudita e Turchia, per cui la Turchia si prende la responsabilità di mettere insieme una formazione armata guidata da al Qaeda (ovvero an Nusra) per catturare Idlib e stringere su Damasco da nord, mentre la "sala comando" ad Amman (in cui "fanno il loro dovere" sia i sauditi che i giordani, come ha esplicitamente riconosciuto l'editorialista saudita Jamal Kashoggi) controlla una coalizione guidata da al Qaeda (di nuovo an Nusra) che occupa l'area della Siria adiacente il monte Hermon, ovvero il Golan, con l'obiettivo di impadronirsi dell'autostrada Quneitra-Damasco. Il controllo di questa strada, in ipotesi, dovrebbe aprire ai ribelli la strada per la periferia sud di Damasco fino a Ghouta ovest: da lì essi dovrebbero circondare le truppe governative schierate a difesa della capitale.
Ecco spiegata la risposta dei sauditi ad Obama: "Occhio che noi ci muoviamo in piena autonomia". L'unica cosa a non tornare perfettamente è il fatto che la "sala comando" per il fronte sud non è per intero frutto dell'impegno saudita. "Il fronte meridionale dei ribelli è controllato dal distaccamento avanzato del Comando Supremo statunitense in Giordania, che si trova a nord di Amman, e vi coopera personale militare ameriKKKano, giordano, saudita, qatariota e britannico. Il centro di comando ha messo insieme otto milizie piuttosto mal assortite e le ha raggruppate nello Jaysh Hermon. Alcune tra queste formazioni sono state accozzate malamente, senza che ve ne fosse bisogno, e soprattutto nonostante le loro propensioni tutt'altro che desiderabili. I loro nomi sono: Libero Esercito Siriano, Brigata Sayf al Sham, Brigata Gesù Cristo (i musulmani rispettano Gesù considerandolo uno dei loro profeti), Fronte an Nusra (la filiazione siriana di Al Qaeda), Ahrar al Sham (un gruppo estremista con legami con an Nusra e con lo Stato Islamico) ed Ajnad al Sham (una formazione i cui combattenti hanno preso alla battaglia per la conquista di Idlib)". Tutto questo ce lo racconta il sito web Debka, legato aI servizi segreti dello stato sionista. 
Sembra che questa accozzaglia messa malamente insieme alcune settimana fa si sia presa qualche licenza rispetto ai dettami della propria sala comando, e imperversando per la Siria sia finita a minacciare un paesino vicino al Jebel Druze, l'ancestrale e montagnosa zona di cui i drusi sono originari. I drusi in Siria sono oltre settecentocinquantamila e l'incidente si è verificato a pochi giorni di distanza dal massacro di una ventina di drusi commesso da an Nusra a Qalb Lawzeh, un villaggio nella provincia nordoccidentale di Idlib. An Nusra considera i drusi come degli apostati, passibili di uccisione se non si convertono allo wahabismo. I drusi della Siria sono entrati in stato d'allarme, e così hanno fatto i drusi del Golan sotto occupazione sionista, che hanno attaccato una autoambulanza uccidendo uno degli jihadisti feriti che essa trasportava, verosimilmente appartenenti ad an Nusra.
Lo spettro di una banda guidata da an Nusra che fa il diavolo a quattro nei villaggi drusi vicino al Golan per aprirsi una strada verso il Libano ha allarmato a tal punto la popolazione  drusa che essa si è mobilitata a fianco del Presidente Assad e del governo. Secondo il LA Times l'importante religioso druso siriano Sheikh Yousef Jarboo ha detto in un'intervista del giugno 2015 che i drusi "avrebbero resistito con ogni mezzo possibile". Secondo il religioso ventisettemila combattenti drusi hanno preso le armi, in formazioni inquadrate nell'esercito siriano.
In breve, il cosiddetto esercito dello Hermon è uscito dal controllo. Debka riferisce anche che "il comando basato in Giordania incaricato di coordinare le iniziative dei ribelli fornisce loro armi, equipaggiamenti, denaro ed anche piani per l'azione militare. Il comando li tiene a bada, impedendo loro di uscire dal seminato, minacciandoli di privarli degli armamenti o di tagliare le paghe dei combattenti". Si tratta della stessa cosa che lo stato sionista ha minacciato di fare, tagliare le paghe dei propri combattenti per procura nel caso essi avessero attaccato i drusi. Amos Harel di Haaretz accenna ad una perdita di controllo da parte dello stato sionista su quanto avviene alla frontiera settentrionale; Debka invece è più schietto: "[Il Primo Ministro ed il Ministro della Difesa dello stato sionista] sperano, col fiato sospeso, che il comando in Giordania riesca a mantenere il controllo delle milizie ribelli e che i drusi non restino danneggiati dai combattimenti nelle zone attorno ai loro villaggi ed alla frontiera con lo stato sionista. Garantire la sicurezza dei drusi è fondamentale per lo stato sionista, se non vuole ritrovarseli ammassati in fuga disordinata alla frontiera. Non esiste comunque alcuna garanzia del fatto che una milizia raccogliticcia come l'esercito dello Hermon, in cui ogni banda si comporta secondo ideali e metodi propri, sia sufficientemente disciplinata da attenersi ad una qualche regola. I massimi livelli del governo sionista devono prepararsi a qualche brutta sorpresa".
La solita vecchia storia. Le "sale controllo" che sovrintendevano alla guerra jihadista contro l'Unione Sovietica in Afghanistan usarono il denaro per cercare di "imporre la disciplina" ai mujaheddin a libro paga, trovandosi poi a scoprire che tutti quei soldi li avevano tenuti buoni giusto la mezz'ora che era durata la riunione, sciolta la quale avevano fatto esattamente quello che gli pareva. I tentativi di dare ad Al Qaeda una patina di "moderazione" non potevano ovviamente finire che così: non ha funzionato in Afghanistan, perché mai dovrebbe funzionare in Siria. Sarebbe sbagliato pensare che al Qaeda se ne starebbe in disparte nel caso il Presidente Assad cadesse, e che lascerebbe così spazio a moderati graditi all'Occidente. Al Qaeda è Al Qaeda e ci si deve attendere che prenda il potere. Com'è possibile pensare altrimenti? L'ex direttore della CIA Michael Morell ha avvertito a metà giugno: "In base all'esperienza che ho fatto con al Qaeda, penso proprio che non si debbano infrangere gli accordi stretti con essa. Il Pakistan ha provato a farlo, e quelli di Al Qaeda gli dicevano 'Noi non vi attacchiamo se voi non ci attaccate', ma significa scherzare col fuoco. Se si infrange un patto, anche al Qaeda farà lo stesso... Credo che per gli Stati Uniti e per l'Occidente Al Qaeda rappresenti una minaccia peggiore dello Stato Islamico".
Ed ecco quali sono i bei risultati delle iniziative dei sauditi in Siria, oggi come oggi. La Turchia ha mandato con puntualità e successo un esercito di diecimila combattenti guidati da an Nusra all'attacco di Idlib solo perché si ritrovassero attaccati di sorpresa dallo Stato Islamico, che li ha tagliati fuori dalle linee di rifornimento. Quello che è stato chiamato "Esercito di Conquista" ha poi perso slancio e disciplina man mano che venivano resi pubblici i risultati delle elezioni politiche in Turchia. Ci ha messo del suo anche la "sala comando" giordana, lanciando il proprio "esercito" dello Hermon contro il fianco sud della Siria solo per ritrovarsi con la maggior parte dei drusi che prendevano le armi a fianco di Damasco e con l'esplodere di scontri con le cellule dormienti dello Stato Islamico nella Siria meridionale.
Davanti al fallimento di una politica generale si cerca sempre di reagire dividendo il problema in segmenti più piccoli: chissà che la soluzione non si trovi, alla fine, risolvendoli uno alla volta. Solo che a favore di questo modo di agire ci sono pochi e magri successi; al contrario, esso ha fama di creare più gravi e lunghi problemi in prospettiva futura. Si potrebbe considerare il Libano come un esempio a questo riguardo.

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