lunedì 16 marzo 2015

Firenze. Il Collettivo Politico di Scienze Politiche contesta Gian Carlo Caselli




Nello stato che occupa la penisola italiana agiscono da decenni forze politiche che attribuiscono a questo o quello esponente del potere giudiziario caratteri quasi taumaturgici.
Uno di questi esponenti si chiama Gian Carlo Caselli.
A Firenze esistono ancora fastidiose organizzazioni non virtuali che non sono disposte a confinare il proprio operato all'ininfluente e spesso ridicolo ius murmurandi garantito dalla telematica. Un comportamento che le rende intollerabili a gazzettieri e politici, stipendiati apposta per linciare chiunque osi disturbare il manovratore; l'essenza della pratica democratista, in "Occidente", è questa da molti anni. 
Una di queste organizzazioni è il Collettivo Politico di Scienze Politiche, formato da persone capacissime di pratiche arcaiche e concrete e poco disposte a far passare sotto silenzio la presenza di questo signore ad un'iniziativa universitaria. In previsione del suo arrivo non sono state preparate armi di alcun genere e non sono neppure state alzate barricate in zona universitaria: a far scagnare la marmaglia delle gazzette e a far impermalire oltremodo il diretto interessato -che si è guardato bene dal farsi vedere in città, cosa di cui nessuno è parso interessarsi al di fuori delle categorie su ricordate- sono bastati un po' di volantini e qualche striscione.
Parte di una pratica politica arcaica è soprattutto l'argomentazione: in un ambiente ferreamente limitato a libri dei ceffi e cinguettatori, si tratta di qualche cosa di difficilmente perdonabile. Nessuna gazzettina ha riportato quanto segue, che copiamo ed incolliamo da colpolfirenze.org al pur modestissimo intento di conferirgli maggiore visibilità. Al di là dei toni magniloquenti e di qualche formalismo estremamente irritante, come un vocabolario ispirato alla correttezza politica in cui ricorrono espressioni che hanno superato il vecchio compagneslashi per arrivare direttamente al compagnasterisco, si tratta di una serie di argomentazioni sicuramente contestabili, cui è possibile prestare più o meno fede e che è altrettanto possibile controbattere senza alcun problema: poteva farlo il diretto interessato e potevano farlo (qui si entra nel campo delle ipotesi irreali) persino i gazzettieri.
Nel testo citato compare il nome dello stato che occupa la penisola italiana: ce ne scusiamo come sempre con i nostri lettori, specie con quanti avessero appena finito di pranzare.
Chi è Gian Carlo Caselli e perché non lo vogliamo a Novoli

Mercoledì 11 marzo l’associazione Libera-contro le mafie e la lista universitaria Udu-SU hanno pensato di propinarci una “lezione antimafia” tenuta dall’ex procuratore Giancarlo Caselli. Un nome noto e di grande richiamo mediatico, che si è costruito nel tempo la reputazione di uomo di sinistra, alfiere dei valori democratici contro il berlusconismo e la criminalità organizzata. La presenza ideale, insomma, per un’iniziativa elettorale in vista del rinnovo di Aprile delle rappresentanze studentesche!
Secondo noi, invece, si tratta di un personaggio assolutamente sgradito: un inquisitore ha dedicato un’intera vita alla difesa degli interessi economici e politici dominanti, sia legali che illegali, contro i movimenti politici e sociali.
Giancarlo Caselli, infatti, inizia la sua carriera di magistrato inquirente in prima linea nella repressione dei movimenti sociali di operai, studenti e contadini che, nell’Italia degli anni Sessanta e Settanta, rivendicavano un cambiamento rivoluzionario verso una società più giusta. Dirigendo il cosiddetto “pool anti-terrorismo”, Caselli diventa subito un tassello importante della macchina repressiva dello Stato, la quale mostra in quegli anni il suo volto più feroce e violento nel soffocare ogni aspirazione alla giustizia sociale: dal terrorismo di Stato della “strategia della tensione” alla violenza poliziesca durante le manifestazioni di piazza, dagli arresti preventivi senza prove di colpevolezza al “carcere duro” (41 bis.) per incentivare il pentitismo, dalle leggi speciali alla tortura sistematica dei militanti politici arrestati, dalla Gladio alla Loggia P2 ecc… in merito a tutto questo il giudice Caselli continua a sostenere, contro ogni evidenza storica, il successo dello Stato nello sconfiggere “l’emergenza terrorista” con le armi della democrazia e della legalità, senza cedere all’autoritarismo e al militarismo.
Una volta sconfitti i movimenti rivoluzionari, il giudice si dedica alla lotta contro Cosa Nostra in Sicilia tra il 1993 e il 1999, con lo scopo di proseguire il lavoro di Falcone e Borsellino e smascherare le collusioni tra potere politico e potere mafioso, indagando anche personaggi eccellenti (in particolare Giulio Andreotti e il giudice di cassazione Corrado Carnevale) sul modello delle inchieste di “tangentopoli”. Tuttavia, la storia si muove in un’altra direzione: la magistratura giudicante condanna il Divo Andreotti solo per i reati risalenti agli anni Settanta e caduti ormai in prescrizione (viene invece assolto per i reati contestati dopo il 1980), mentre i poteri politici restaurano la tradizionale alleanza tra Stato e Mafia sancita con l’ascesa del berlusconismo. La sua attività di giudice antimafia, inoltre, è ricca di zone d’ombra. Sulle sue spalle pesa la responsabilità di aver sempre difeso la «professionalità» di Arnaldo La Barbera, (funzionario di polizia e agente segreto del Sisde) artefice dei depistaggi delle indagini sull’attentato dell’Addaura contro Falcone e sulla strage di via D’Amelio che uccise Borsellino. In quest’ultimo caso La Barbera torturò un ragazzo innocente, Vincenzo Scarantino, per fargli confessare la realizzazione dell’attentato (e accusare altre sei persone innocenti) al fine di tutelare i veri esecutori. Lo stesso Arnaldo La Barbera lo ritroveremo alla scuola Diaz a Genova e alla caserma di Bolzaneto nel luglio 2001… che belle amicizie ha il caro Caselli! Inoltre, sempre Caselli si ritrova, di fatto, a coprire il coinvolgimento di alcuni ufficiali dei Carabinieri nella ormai famosa “trattativa tra stato e mafia”, finalizzata a ristabilire la pacifica convivenza tra poteri legali e illegali. Si tratta del capitano De Caprio, del colonnello Mori e del generale Subranni (già autore del depistaggio delle indagini sull’assassinio di Peppino Impastato nel 1978), i quali consigliarono allo stesso Caselli di non perquisire la villa del boss Totò Riina dopo il suo arresto, consentendo così a ignoti di ripulire ogni indizio o prova compromettente per i carabinieri. Un’indagine su questa vicenda verrà aperta solo qualche anno dopo, a seguito delle dichiarazioni del pentito Bernardo Brusca.
Pur non emergendo un coinvolgimento diretto del giudice antimafia Caselli in tali losche vicende, è evidente come egli, invece di denunciare e perseguire penalmente tali manovre sotterranee, sposi completamente la “ragion di stato”, rinunciando a quella intransigenza legalitaria esercitata abbondantemente contro i militanti politici. Del resto la criminalità organizzata da sempre svolge il ruolo sbirresco di guardia armata dell’ordine costituito contro qualsiasi istanza di progresso sociale…
Successivamente, emarginato dall’antimafia dal governo Berlusconi (a causa delle sue indagini su Marcello dell’Utri), torna a Torino, dove veste nuovamente i panni dell’inquisitore intransigente e forcaiolo contro il suo nemico storico: i movimenti sociali. La sua vocazione originaria è la repressione del dissenso, della lotta e della protesta politica che oltrepassa gli angusti confini della legalità. Nel 2010 emette ventiquattro misure di custodia cautelare in carcere ai danni di altrettanti studenti attivi nel movimento dell’Onda in relazione alla contestazione del G8 University Summit. Successivamente il nostro “eroe” dell’antimafia e della legalità si dedica anima e corpo alla causa della repressione, criminalizzazione e delegittimazione politica e sociale del movimento popolare NO TAV in Val di Susa. Quindici anni fa morivano suicidi in carcere (in circostanze mai chiarite) i due compagni anarchici, Sole e Baleno: le due prime vittime della repressione contro il movimento NO TAV! Oggi, dopo l’occupazione militare della Val Clarea, dopo i manganelli della polizia, dopo l’utilizzo massiccio di gas lacrimogeni CS (vietati dalle convenzioni internazionali nei conflitti bellici), dopo i pestaggi e le molestie sessuali ai danni dei compagni e delle compagne fermate, arrivano le denunce e le rappresaglie del giudice Caselli e del suo pool anti-NO TAV. Nel gennaio 2012, su ordine del procuratore, ventisei compagni vengono arrestati per la resistenza alla polizia nelle giornate del giugno e del luglio 2011. Quando il movimento lancia, sempre nel 2012, l’Operazione Hunter, denunciando gli abusi della polizia e presentando un esposto in procura con prove filmate delle violenze commesse dalle forze dell’ordine, Caselli archivia il caso.
La determinazione del movimento fa fallire il tentativo repressivo di dividere la protesta tra “manifestati buoni” e “Black Block” violenti e cattivi. Allora la guerra della procura contro i NO TAV si fa più intensa e capillare. Addirittura, quattro compagn* vengono arrestati con l’accusa di terrorismo (!), mentre altre decine di militanti e simpatizzanti vengono denunciati per una miriade di reati minori e sottoposti a misure cautelari: una strategia tutta politica volta ad indebolire, demoralizzare e dividere il movimento. La logica è semplice e mira al cumulo delle pene: se su dieci accuse ne restano in piedi anche solo tre o quattro si avrà comunque qualche condanna! Inoltre, Caselli e i sui degni compari non disdegnano neanche il ricorso al reato d’opinione: lo scrittore Erri De Luca ha ricevuto un’incriminazione «per avere istigato al sabotaggio della Tav». Al contrario, le comprovate infiltrazioni mafiose nel consorzio di aziende che gestisce i lavori di scavo non sembrano preoccupare più di tanto il nostro “eroe dell’antimafia”. Forse l’esperienza palermitana gli ha insegnato che l’intreccio Stato-mafia-capitalismo è indissolubile. Meglio concentrarsi sul lavoro di trasformare la Val Susa in un enorme laboratorio della repressione dei movimenti sociali!
Per questi motivi, che abbiamo riassunto sommariamente, non vogliamo Caselli a Novoli e riteniamo la sua presenza in facoltà una vera e propria provocazione. Noi non facciamo della legalità la nostra bandiera; Una legalità ad uso e consumo del potere economico e politico non è giustizia sociale!
Il nostro pensiero e la nostra solidarietà vanno a tutte le compagne e i compagni colpiti dalla repressione: siamo tutti colpevoli di lottare!
Caselli è un nemico di chiunque si sia organizzato, si organizzi e si organizzerà per lottare per una società migliore!
Il Collettivo, lo si sarà capito bene, ha fatto un ritratto di Gian Carlo Caselli tutt'altro che agiografico ma che nulla impedisce di correggere, in tutto o in parte.
Invece il diretto interessato, convinto forse che il pallonaio e una scuola di scienze politiche siano più o meno la stessa cosa, ha preferito sgazzettare come un palloniere contrariato da un arbitro poco malleabile, dando agli stesori del testo di teppaglia, "più canaglie che studenti".
La stessa reazioncina da bambino stizzoso che ebbe il sionista Ehud Gol in circostanze simili: a contestarlo non potevano che essere individui "pagati dai palestinesi", essendo inconcepibile per la sua forma mentis qualunque azione politica non fosse dettata da un personale tornaconto immediato e quantificabile.
Il giornalame non chiedeva di meglio: si caccino dunque dall'università i colpevoli di tanto scempio: i treni ad alta velocità sono una priorità "nazionale" che solo un pazzo può mettere in discussione. Basta che la cosa interessi alla committenza, e quelli delle gazzette sono capacissimi di tirare avanti come minimo due settimane, riempiendole con una decina di issues ispirati a questi toni.
Peccato sia mancato il tempo.
Nelle stesse ore, le stesse gazzettine (le stesse) hanno dovuto riferire di uno di quei mediocri casi di corruttela diffusa per i quali il "paese" dove mangiano spaghetti è giustamente famoso nel mondo.
Al centro della questione pare vi sia proprio l'alta velocità.
Sono finiti sotto inchiesta una cinquantina di ben vestiti.
Qualcuno lo hanno anche messo in galera come un punkabbestia qualsiasi.

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