venerdì 26 agosto 2011

Alcune considerazioni sull'aggressione alla Libia


Mu'ammar Abū Minyar al-Qadhdhāfī fotografato nel settembre 2010.
Quello accanto è uno che farebbe il "Ministro degli Esteri"
per lo stato che occupa la penisola italiana.

Sull'aggressione "occidentale" alla Grande Jamahiria Araba di Libia Popolare e Socialista ci sarebbero molti commenti da fare, a partire dalla pulcinellesca azione dei mass media del mainstream alla obiettiva realpolitik dell'"occidentalismo" peninsulare, che non si è affatto peritato di abbandonare al suo destino il riverito alleato di ieri.
In questo non c'è niente da stupirsi: secondo il nostro punto di vista, tanto generoso quanto risaputo, lo stato che occupa la penisola italiana ricorda una volgare spaghetteria di provincia infarcita di cameriere in topless, in cui un "servizio d'ordine" fatto di maneschi buttafuori si impossessa di quando in quando di un commensale scelto a caso e gli spara allegramente in testa dopo averlo spinto in un angolo appartato.
Scrive il blogger Minimi Termini:
Non so come andrà a finire. Probabilmente la Libia andrà in mano a qualche fantoccio prezzolato che contribuirà a rifornire di petrolio chi di dovere, con un Paese evoluto e benestante ridotto a una buca di sabbia i cui abitanti cercheranno fortuna in Europa, lavorando in qualche catena di montaggio per 800 euro e una manciata di "negri di merda".
La nostra breve permanenza nella Grande Jamahiria Araba di Libia Popolare e Socialista data a cinque anni or sono, ed è documentata dalle immagini in link.
Sul fatto che il tenore di vita della popolazione fosse incommensurabilmente superiore a quello dei paesi confinanti non è nemmeno il caso di porre questioni. Di contro la nostra impressione è stata quella di un paese i cui negozietti traboccavano di merci importate e che l'economia dipendesse dagli idrocarburi in una misura che avrebbe preoccupato chiunque.
Il personale militare, pressoché onnipresente e vestito con M65 yankee nelle diverse varianti reperibili a tonnellate in ogni magazzino di surplus, schierava molti effettivi ultracinquantenni che avevano tutta l'aria di essere dediti ad esclusivi compiti di polizia e di controllo del territorio.
L'impressione era che la concordia con l'"Occidente", i trattati, le comparsate a Roma ed a Parigi, le strette di mano e la visibilità mediatica condiscendente già iniziata in quel periodo avessero trasformato le forze armate della Jamahiria in un corpo di polizia al soldo degli "occidentali" con l'esplicito incarico di svolgere il lavoro sporco del "controllo" dell'immigrazione.
A Mu'ammar Abū Minyar al-Qadhdhāfī mostrare condiscendenza nei confronti dell'"occidente" non ha alla fine portato alcunché di buono: il colpo di spugna sulle politiche fino ad allora seguite e l'annichilimento per rottamazione del potenziale militare non gli hanno evitato di finire vittima della stizza capricciosa di un presidente della Repubblica Francese che non era riuscito a piazzare come previsto quella partita di costosissimi e inutili supercaccia che avrebbe interrotto la lunga serie di gare d'appalto perse e forse evitato il tracollo alla Dassault.
E questo senza neppure sfiorare la questione del petrolio, sul conto del quale le intenzioni "occidentali" non potrebbero essere più chiare.
Quanto successo era abbastanza prevedibile. Per gli "occidentalisti" il concetto di politica non contempla alcun ruolo per la mediazione e la convivenza, e l'unico scopo dell'azione politica deve essere la distruzione dell'avversario. L'aspetto interessante, in questo, è dato senz'altro dalle modalità di azione della propaganda "occidentalista", che fedele alla natura menzognera ed empia dei suoi committenti attribuisce ai nemici designati caratteristiche ed intenzioni che sono, al contrario, interamente "occidentali".

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