sabato 4 ottobre 2008

Da Abdul a Tong


Nel corso degli ultimi mesi è aumentata la copertura mediatica riservata agli episodi classificabili come violenza razziale. L'assassinio praticamente a freddo del milanese Abdul William Guibre e l'aggressione di gruppo avvenuta a Roma ai danni di Tong Hong-shen, lavoratore dallo Xinjang, spiccano in un quadro di tensione quotidiana correntemente e abitualmente alimentata dal circolo vizioso che si innesta tra un operato massmediale da anni oltre il limite del presentabile ed una circolazione sociale delle informazioni per la quale non esiste vergogna più stigmatizzante dell'azzardarsi a disprezzare come meritano la maggior parte dei luoghi comuni.
Ora, più che di aggressioni a sfondo razziale si dovrebbe parlare di aggressioni a sfondo demenziale, in considerazione dell'assoluta inconsistenza delle motivazioni rintracciabili nei contenuti mediatici, che non fa pensare che alla base di questi e di altri episodi esista un piano ideologico fortemente strutturato, tale da andare al di là del corrente "io gli darei fuoco", proposito ampiamente condiviso tra i sudditi dello stato che occupa la penisola italiana e percepito, condiviso ed accettato come proponibile soluzione di ogni controversia, dalla disputa per la viabilità stradale allo scontro armato tra stati sovrani. Un atteggiamento estremamente corrente ed abituale contro il quale nessuno reagisce, anche se in circostanze più civili non sarebbe raro, e nemmeno sgradito, vedere l'aspirante incendiario rischiar forte anche sul piano fisico!
Nel settembre scorso, dopo una settimana lavorativa a Milano -o Arbeitstadt, come l'ha chiamata un amico nella Lingua Tertii Imperii- svoltasi proprio in corrispondenza con l'assassinio di Abdul William Guibre, chi scrive ha verificato su vari organi di stampa il molto spazio dedicato alle reazioni di politicanti il cui problema principale è quello di stigmatizzare eventuali reazioni popolari al perdurante stato di cose; il più delle volte una fantomatica "sinistra" (un areale politico che per i politicanti comincia laddove per un essere rispettoso di sé si colloca il liberalismo classico di stampo cavouriano) è immancabilmente accusata di "strumentalizzare" eventi del genere; una prassi anche questa d'uso corrente e che nel canaio propagandistico che ha preso il posto della comunicazione politica si è rivelata molto produttiva.
I comunicati stampa dei politici, e ancor più i commenti postati dai lettori di quotidiani on-line che ne offrono la possibilità, offrono un quadro realistico della bassezza raggiunta dai sudditi, e che i politici "liberamente" eletti incarnano e sublimano a meraviglia: esiste un settore molto numeroso dell'opinione pubblica che ritiene comprensibile ammazzare qualcuno a colpi di spranga per il furto di un po' di dolci. Basta che la cosa non faccia scendere il valore degli immobili, per carità; quindi fatelo lontani dalle mie finestre e soprattutto state attenti a non sporcare il marciapiede!
Milano è una città occidentale, ossia un inferno sulla terra. Ci si va a lavorare, appunto, essendo praticamente un reato d'opinione il pensare di farvi altro. Spiace soltanto che le forze vive che ancora vi allignano, come gli attivisti che hanno dato luogo al corteo tenutosi pochi giorni dopo l'omicidio, non riescano ad unirsi per lottare veramente contro un "Occidente" che da un bel pezzo ha smesso di essere qualcosa di diverso da un macinatore di esistenze. Una lotta quotidiana, grigia, prosaica, punt'affatto eroica o gioiosa, contro un totalitarismo consumista che dopo averti divorato la vita si impegna a divorarti anche l'anima.


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